ITALIA DEL TARTUFO

 

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Scacchiera del gusto


Bianco o nero? Una dicotomia che vede protagonista il tartufo italiano, una prelibatezza da scoprire seguendo la scia del suo profumo in percorsi che attraversano la geografia dei sapori e
cavalcano millenni di storia. Plutarco, infatti, considerava il tartufo il frutto di un connubio fra le piogge, il calore e la terra. Plinio il Vecchio, invece, lo definiva “massimo miracolo della natura” mentre Giovenale lo elevava a “figlio del fulmine”.



Oggigiorno è una squisitezza custodita come un tesoro dal sottosuolo italiano: una mappatura di sapori, ambienti e regioni fra i quali spiccano due eccellenze, il tartufo bianco di Alba, in provincia di Cuneo e in Piemonte, e il tartufo nero di Norcia, targato Perugia e in Umbria. Ma l’appellativo “pregiato” spetta al bianco o al nero? Impossibile stabilirlo, tanto più che il primo va gustato crudo, tagliato a fette sottilissime, mentre il secondo deve essere scaldato per sprigionare il suo aroma e poter essere apprezzato al meglio. Via libera alle alleanze, dunque, con i due tartufi impiegati per la gloria dello stesso piatto e con una pluralità di itinerari lungo le direttrici del tartufo italiano: un viaggio nella natura che in Italia - sovente - fa rima con cultura. In questo caso anche gastronomica, attraverso città – alcune celebri, altre discretamente appartate – e borghi nei quali il tempo sembra essersi fermato, spesso intatti come il verde in cui sono incastonati. Luoghi nei quali assistere all’autenticità delle tradizioni ambientali e partecipare al trionfo di manifestazioni gastronomiche incentrate sulle tipicità locali. Saperi e sapori rigorosamente “Made in Italy”.




 
Lo sapevate che…
A San Giovanni d’Asso (in provincia di Siena, Toscana), località attorniata da valli ricche di tartufi, è stato inaugurato nel 2004 il primo Museo Italiano del Tartufo. Scenario di questa chicca sono i sotterranei del trecentesco castello locale, ben 250 metri quadrati di superficie dedicati alla storia del tartufo e a un avvicente percorso che attraverso i cinque sensi consente di riconoscere il fungo ipogeo.

  


Luciana Francesca Rebonato

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